Le donne affette da Sindrome dell'Ovaio
Policistico sono geneticamente "programmate" per generare figli in
periodi di carestia. È l'ipotesi sostenuta da Enrico Ferrazzi, direttore della
Clinica Ostetrica e Ginecologica all’Ospedale Buzzi di Milano e vicepresidente
del comitato scientifico dell'Associazione per lo Studio delle Malformazioni. La
sindrome colpisce dal 7 al 15% di tutte le donne in età fertile. Nonostante
predisponga alla subfertilità, dunque, il tratto genetico della PCOS è presente
in un'ampia percentuale della popolazione femminile. Come mai si è conservato
nel corso dell'evoluzione umana e non è stato cancellato dai meccanismi della
selezione naturale? L'ipotesi, sempre più condivisa dalla ricerca scientifica,
è che le donne con ovaio policistico abbiano una precisa funzione nella
preservazione della specie umana. "In condizioni di carestia, di forte
restrizione calorica, l'ovaio normale cessa di funzionare", spiega
Ferrazzi. "Lo vediamo nei casi di anoressia, o nelle donne sottoposte a
intenso sforzo fisico e scarsa alimentazione, come capita a volte alle
ballerine. L'ovaio policistico, invece, funziona al meglio proprio in queste
condizioni. Poiché le carestie hanno da sempre accompagnato la storia del
genere umano, il tratto genetico della PCOS si è preservato in un'alta
percentuale della popolazione umana perché in tempi di carestia chi si
riproduceva erano appunto le donne con ovaio policistico. Oggi la PCOS si
manifesta soprattutto nei Paesi occidentali dove l'eccesso calorico è la regola
alimentare. Particolarmente nocivi, per le donne che ne soffrono, sono lo
zucchero e i carboidrati derivati da cereali raffinati. Per attenuare le
manifestazioni della sindrome, ancor prima di ricorrere ai farmaci è necessario
adeguare le abitudini alimentari: mangiare molta frutta e verdura (600-700 grammi
al giorno), pesce, pollame, molluschi, uova, legumi, cavoli, verze e noci,
ricchi di acidi grassi omega-3, ridurre a poche porzioni settimanali i
carboidrati derivati dai cereali, i dolci, la carne rossa, gli affettati, i
formaggi e il latte, il sale e integrare la dieta con alimenti probiotici
(yogurt con fermenti vivi)".
Ho
donato i miei ovociti
Alessandra ha 26 anni e ama i bambini. Studia
per diventare educatrice dell'infanzia. È italiana, ma per alcuni anni ha
vissuto in Spagna per lavoro. Lì, a Bilbao, ha fatto una scelta che nel nostro
Paese oggi è legale ma, di fatto, non è ancora accessibile: ha donato alcuni
suoi ovociti per consentire a donne sterili di coronare il proprio desiderio di
maternità. In Italia la recente sentenza della Corte Costituzionale ha sancito la legalità
della fecondazione eterologa, tuttavia l'assenza di linee guida nazionali
specifiche ha di fatto impedito finora la donazione di gameti e l'utilizzo di gameti donati.
Non è così in Spagna, dove l'ovodonazione è consentita e incoraggiata. La
normativa europea prevede che non si possa fare commercio degli ovociti o degli
spermatozoi. La donazione deve essere gratuita, tuttavia in alcuni Paesi è
previsto un rimborso spese per le donne che si sottopongono alla procedura
invasiva, sacrificando anche giorni di lavoro. "In Spagna questo rimborso
è cospicuo, tanto da rasentare l'entità di un vero e proprio compenso, una
pratica oggetto di critiche a livello europeo", spiega la psicologa Laura
Volpini, presidente della neonata Associazione Italiana Donazione Altruistica e
Gratuita dei Gameti. Avevo bisogno di soldi, ma...". "Una conoscente mi
ha consigliato di donare i miei ovuli perché avevo bisogno di soldi",
racconta Alessandra. "La mia prima motivazione è stata questa. Mi hanno offerto
1.200 euro in cambio di un mese di disponibilità, esami, assunzione di farmaci
per stimolare le ovaie e poi l'intervento di prelievo degli ovociti.
Intendiamoci, però: non mi sarei mai sottoposta per soldi a una procedura
rischiosa per la mia salute o per la mia fertilità. Mi sono informata, ho
parlato con i medici, ho fatto mille domande a cui gli operatori hanno risposto
in modo esauriente. Sono stata rassicurata e sono stata seguita con attenzione.
Avevo un numero di telefono che potevo chiamare a qualsiasi ora, di giorno o di
notte, per manifestare eventuali dubbi". Stimolazione ovarica e prelievo
degli ovociti, se fatti a regola d'arte, non comportano rischi significativi per
la salute della donatrice. Ormai sono procedure di routine tanto che alcuni
medici, soprattutto in altri Paesi, cominciano a consigliare alle donne giovani
e fertili di mettere da parte alcuni ovociti per avere l'opportunità di
utilizzarli per se stesse in futuro, se dovesse presentarsi la necessità(
Social freezing). Prima di prendere una
decisione definitiva sulla donazione, Alessandra si è documentata su Internet.
"Ho letto le storie di altre ragazze che avevano intrapreso la stessa
strada e, soprattutto, ho letto le storie di donne disperate per la propria
sterilità che grazie all'ovodonazione avevano potuto mettere al mondo i figli
tanto cercati", racconta. "Così al bisogno di soldi si è aggiunta
un'altra motivazione: poter essere d'aiuto ad altre donne in difficoltà,
realizzare il loro sogno. Inoltre, io in passato ho interrotto volontariamente
una gravidanza. Potevo avere un figlio, ma quello per me non era il momento
giusto. Donando i miei ovuli ho ristabilito una sorta di equilibrio". "L'idea
che dalle cellule che ho donato possano essere nati dei bambini mi piace, mi fa
sentire bene", dice la donatrice. "Soprattutto sono soddisfatta al
pensiero di avere aiutato altre donne a coronare il proprio desiderio di
maternità, ma se penso a quei bambini non li sento come figli miei. Un bambino
è figlio di chi lo partorisce e, ancor più, di chi lo cresce. Non è una
questione biologica, ma di amore. Ecco perché dico che non sono figli miei e
quando un giorno avrò dei bambini non nutrirò alcun rimpianto per quelli
eventualmente nati dai miei ovociti, non farò alcuna confusione di affetti".
L'anonimato
Alessandra non sa se le gravidanze avviate con
i gameti che ha donato siano andate a buon fine né lo saprà mai. La legge
spagnola prevede l'anonimato dei donatori di ovociti e spermatozoi. Tra loro,
le coppie riceventi e, in seguito, i bambini nati non c'è comunicazione né
alcun rapporto parentale o giuridico. "È una misura a tutela di tutte le parti
coinvolte: della donatrice, della coppia che riceve la donazione, dei nati, ma
anche di eventuali altri figli della coppia e di eventuali figli della
donatrice", commenta Laura Volpini, presidente dell'Associazione Italiana
Donazione Altruistica e Gratuita dei Gameti. In gran parte dei Paesi europei la normativa è orientata in tal senso.
"Ma non in tutti", aggiunge l'avvocato Sebastiano Papandrea, legale
dell'Associazione. "Per esempio, in Gran Bretagna una volta vigeva
l'obbligo dell'anonimato assoluto. Di recente questo paletto è stato rimosso.
In Italia la norma di riferimento è la legge 40 che, nonostante vietasse
l'eterologa, regolamenta il caso in cui una coppia faccia ricorso a questo tipo
di intervento all'estero. Prevede l'anonimato del donatore o della donatrice e
stabilisce che tra il donatore e il nato non sussiste alcun legame. Inoltre,
nel nostro Paese fa testo sulla questione anche la legge sulla donazione degli
organi e dei tessuti, che prevede l'anonimato di chi dona. Non è detto, però,
che anche in Italia non si possano in futuro rivedere le regole. Già nel caso
delle adozioni è possibile, in determinate circostanze, che un giudice consenta
a un figlio di acquisire informazioni sulla madre biologica o a una madre di
acquisire informazioni sul figlio. È concepibile, in futuro, un ripensamento in
tal senso anche per l'eterologa, con valutazioni fatte dai giudici caso per
caso. Quel che è certo è che la coppia che ha fatto consapevolmente ricorso
all'eterologa non può in seguito disconoscere la paternità o la maternità sulla
base dell'assenza del vincolo biologico. Il nato è protetto. La famiglia entro
cui nasce è legalmente la sua famiglia".
La "tracciabilità" dei gameti
Anonimato del donatore non significa assenza totale di informazioni sul suo conto. La clinica che ha effettuato il trattamento di fecondazione assistita eterologa mantiene nei propri archivi tutti i dati relativi alla storia medica e agli esami effettuati da chi ha donato ovociti o spermatozoi. Sono informazioni necessarie per la tutela della salute futura dei nati, e sono a disposizione dei diretti interessati e delle famiglie. Esiste, quindi, una sorta di tracciabilità dei gameti.
I donatori vengono esaminati per escludere le patologie genetiche più comuni, come la fibrosi cistica e l'anemia mediterranea, e le alterazioni cromosomiche ereditarie. Attenzione, però: ciò non significa che i bambini nati da fecondazione eterologa siano del tutto esenti dal rischio di malattie ereditarie". "Allo stato attuale la scienza non è in grado di escludere al 100% il rischio di ereditare una malattia o la predisposizione a una malattia. Il rischio esiste sempre quando si fa un figlio spontaneamente, con fecondazione assistita omologa o eterologa. Non ha alcun senso, dunque, aspettarsi la perfezione, come se la clinica potesse fornire una garanzia di salute".
Similmente, la coppia che fa ricorso all'eterologa non può chiedere alla clinica ovociti o spermatozoi portatori di specifiche caratteristiche, allo scopo di avere un figlio bellissimo o super intelligente. "Non funziona così. Questa è fantascienza". "Gli operatori scelgono il donatore o la donatrice in modo tale che il figlio abbia a grandi linee caratteristiche fisiche analoghe a quelle dei genitori, come il colore della pelle e dei capelli, ma non si può cercare il donatore che abbia il profilo del naso come quello del futuro padre. I tratti di una persona dipendono da una moltitudine di fattori, genetici e ambientali, e siamo i grado di orientarli solo in minima parte. E il figlio nato da una coppia o anche solamente allevato da una coppia, come accade nelle adozioni, tende a somigliare ai genitori anche se non ne condivide del tutto o per nulla il DNA". Nella prima parte di questa storia Alessandra, italiana residente in Spagna, ha spiegato le motivazioni che l'hanno spinta a donare i suoi ovociti a una clinica della fertilità per la fecondazione eterologa di aspiranti mamme affette da sterilità. "Dal momento in cui ho fatto la mia scelta e mi sono rivolta alla clinica, sono stata sottoposta a una serie di controlli, per escludere qualunque ostacolo alla donazione", racconta.
Gli esami
"Ho parlato con un dottore che ha
ricostruito la mia storia medica e quella della mia famiglia", spiega.
"Si è informato su eventuali precedenti di malattie ereditarie. Ha avuto
qualche perplessità quando ha saputo che la mia famiglia è di origine sarda e
dunque ho un maggior rischio di essere portatrice di anemia mediterranea, ma i
successivi esami hanno escluso questa eventualità".
Le aspiranti donatrici di ovociti vengono sottoposte ad analisi del sangue per le più comuni malattie genetiche. Di solito si esegue il test per la fibrosi cistica e in alcuni casi, se provengono da aree a rischio, quello per l'anemia mediterranea. È previsto anche un esame del cariotipo per escludere alterazioni cromosomiche che potrebbero aumentare il rischio di aborto spontaneo. Altri esami del sangue prescritti di routine sono quelli per le malattie infettive: HIV, epatite B e C e sifilide. Infine è previsto un tampone cervicale per escludere la clamidia". Terminata la trafila dei test, Alessandra è stata sottoposta a visita ginecologica ed ecografia pelvica. Infine, a un colloquio con una psicologa. "Tra le altre cose, mi ha chiesto che cosa provavo all'idea che dai miei ovociti donati potessero nascere dei bambini che sarebbero stati a tutti gli effetti figli di altre donne", racconta la ragazza. "Il colloquio ha la funzione di tutelare il benessere psicologico della donatrice", spiega la psicologa Laura Volpini, presidente della neonata Associazione Italiana Donazione Altruistica e Gratuita dei Gameti. "Serve ad accertare che la donazione sia un gesto pienamente consapevole e volontario, che la donna sia serena nella sua scelta. Di solito, se la decisione è stata ben ponderata, la donatrice prova soddisfazione per il gesto altruistico. Possono subentrare dei rimorsi in alcuni casi particolari. Per esempio, se la donatrice si sottopone a sua volta a PMA e il trattamento non ha successo, potrebbe provare del risentimento pensando che gli ovociti donati ad altre donne sono invece andati a buon fine".
Le aspiranti donatrici di ovociti vengono sottoposte ad analisi del sangue per le più comuni malattie genetiche. Di solito si esegue il test per la fibrosi cistica e in alcuni casi, se provengono da aree a rischio, quello per l'anemia mediterranea. È previsto anche un esame del cariotipo per escludere alterazioni cromosomiche che potrebbero aumentare il rischio di aborto spontaneo. Altri esami del sangue prescritti di routine sono quelli per le malattie infettive: HIV, epatite B e C e sifilide. Infine è previsto un tampone cervicale per escludere la clamidia". Terminata la trafila dei test, Alessandra è stata sottoposta a visita ginecologica ed ecografia pelvica. Infine, a un colloquio con una psicologa. "Tra le altre cose, mi ha chiesto che cosa provavo all'idea che dai miei ovociti donati potessero nascere dei bambini che sarebbero stati a tutti gli effetti figli di altre donne", racconta la ragazza. "Il colloquio ha la funzione di tutelare il benessere psicologico della donatrice", spiega la psicologa Laura Volpini, presidente della neonata Associazione Italiana Donazione Altruistica e Gratuita dei Gameti. "Serve ad accertare che la donazione sia un gesto pienamente consapevole e volontario, che la donna sia serena nella sua scelta. Di solito, se la decisione è stata ben ponderata, la donatrice prova soddisfazione per il gesto altruistico. Possono subentrare dei rimorsi in alcuni casi particolari. Per esempio, se la donatrice si sottopone a sua volta a PMA e il trattamento non ha successo, potrebbe provare del risentimento pensando che gli ovociti donati ad altre donne sono invece andati a buon fine".
La procedura
"Tre o quattro giorni dopo l'ultima
visita, i medici della clinica hanno chiamato per comunicarmi che andava tutto
bene e potevamo procedere", racconta Alessandra. "Ho firmato un
consenso informato molto dettagliato e ho dato la mia disponibilità ad assumere
i farmaci prescritti ogni giorno agli orari previsti e a sottopormi a visite ed
ecografie a giorni alterni per un mese, fino al prelievo degli ovociti". Inizialmente ad Alessandra è
stato prescritto un contraccettivo per alcuni giorni. Non sempre è previsto, è necessario nei casi in cui bisogna
sincronizzare il ciclo della donatrice con quello della ricevente, in modo tale
che gli ovociti siano maturi e pronti al prelievo nel momento giusto per
fecondarli e procedere con l'impianto dell'embrione. In seguito le sono state prescritte delle
gonadotropine per stimolare la maturazione contemporanea di più follicoli.
"Erano delle iniezioni sottocutanee che dovevo farmi da sola sulla
pancia", racconta Alessandra. "Due al giorno: una pizzicava un po'. Gli
orari delle iniezioni andavano rispettati rigorosamente e se ritardavo per
qualche ragione dovevo chiamare un numero di telefono della clinica e chiedere
istruzioni". Nel corso del
trattamento non ha provato alcun fastidio, ma ha notato alcuni cambiamenti
fisici. "Mi è cresciuto il seno e avevo l'addome un po' gonfio",
spiega, "ma alla fine di tutto sono tornata alle condizioni di
partenza". Al termine del mese, la
donatrice è andata alla clinica per il prelievo degli ovociti maturi. "Mi
hanno sedata e mi sono addormentata. Non ho sentito niente", racconta.
"Sono tornata a casa la sera stessa, ma nei giorni successivi sono andata
ancora alla clinica per una visita di controllo con ecografia. Avevo un piccolo
versamento di sangue nell'ovaio e nei due giorni successivi al prelievo ho
avuto dolori addominali piuttosto forti. La dottoressa mi ha rassicurato: il
versamento si sarebbe riassorbito da solo. In effetti in seguito sono stata
bene e non più avuto problemi". Il prelievo degli ovociti è un intervento
mini invasivo. Si effettua con un sottile ago che raggiunge l'ovaio per via
vaginale. Normalmente non ha alcuna conseguenza negativa per la salute della
donatrice. Alcune donne possono provare dolore all'addome nelle ore successive,
più o meno accentuato, ma è un disturbo superabile con un analgesico e si
risolve poi spontaneamente. Sono previsti dei controlli per verificare che le
ovaie siano tornate alla loro attività fisiologica.
Le motivazioni di chi dona
"Nella maggior parte dei casi in Europa le
donatrici sono donne che si sono sottoposte a procreazione medicalmente
assistita e hanno prodotto ovociti maturi in sovrannumero. Completata la
procedura, hanno deciso di non crioconservare i gameti avanzati, almeno non
tutti, ma di donarne una parte", dice Volpini. "Fanno questa scelta
perché hanno sperimentato in prima persona l'infertilità e il ricorso alla PMA
e solidarizzano con le altre donne nella stessa situazione che hanno necessità
di ovociti donati. Un'altra motivazione abbastanza comune è la donazione per
un'amica. Poiché nella maggior parte dei Paesi europei vige l'obbligo di
anonimato del donatore, se una donna vuole aiutare un'amica in difficoltà può
fare ricorso alla donazione crociata. Va al centro per la fertilità e offre i
propri ovociti. In cambio la struttura utilizza altri ovociti, di donatrice
anonima, per l'intervento sull'amica". Uno degli scopi dell'Associazione
Italiana Donazione Altruistica e Gratuita dei Gameti è diffondere nel nostro Paese
la cultura dell'ovodonazione come gesto motivato da solidarietà umana.
"Chi dona il sangue o il midollo viene considerato generoso e
altruista", osserva la psicologa. "Manca ancora, in Italia, la stessa
considerazione per chi dona i gameti. È su questo aspetto, tra gli altri, che
ci proponiamo di lavorare".
OVODONAZIONE: Confermato il legame epigenetico tra mamma e nascituro.
La
relazione feto-madre è in grado di incidere sul patrimonio genetico del
nascituro, anche quando non sussistono legami biologici fra la futura madre e
l’ovulo fecondato. Tale
scoperta è stata confermata da un recente studio condotto dalla Fondazione IVI
(FIVI), e pubblicato su Development il quale ha dimostrato, per la prima
volta nella storia della genetica come la comunicazione tra mamma ed embrione
può modificare l’informazione genetica del neonato anche in caso di
ovodonazione. Alcune particolari condizioni in cui si possono trovare le donne
sono in grado di modificare le loro cellule, anche quelle dell’endometrio. Ciò
determina un cambiamento del fluido endometriale tale che nella sua secrezione
venga rilasciata l’informazione genetica della madre assorbita poi
dall’embrione. Questa comunicazione può far si che nell’embrione si esprimano o
si inibiscano specifiche funzioni, dando così luogo alle suddette modifiche. Questa
scoperta conferma l’esistenza, da tempo ipotizzata, di uno scambio
d’informazioni tra endometrio ed embrione. Questa “comunicazione” fa si che
nell’embrione si esprimano o si inibiscano specifiche funzioni, in risposta
alle informazioni rilasciate dalle cellule endometriali. Ciò spiegherebbe il
processo di trasmissione, tra la mamma e il bimbo, di alcune
caratteristiche fisiche così come di alcune malattie infantili quali il
diabete e l’obesità”. In presenza di determinate condizioni patologiche,
infatti, come in caso di obesità, diabete, ma anche di tabagismo, le
cellule endometriali modificano la loro espressione genica, cioè modificano
l’attività dei loro geni, influenzando, in questo modo, anche lo sviluppo
embrionale.
Questa
scoperta ci permetterà in futuro di evitare la trasmissione di alcune malattie
quando la loro causa è epigenetica, ovvero quelle malattie che si verificano in
seguito a cambiamenti nell’espressione, e quindi nell’attività, di uno o più
geni senza che ne venga modificata la struttura.
Un
ulteriore studio pubblicato da “Nature genetics” sta accendendo l’entusiasmo di
tutte le aspiranti mamme che avevano pensato di ricorrere all’ovodonazione e
sta confermando quello che molte madri, che già sono ricorse a questa
soluzione, sentivano a livello più inconscio. Lo studio dimostrerebbe, infatti,
che la paziente che riceve l’ovulo, per un fenomeno epigenetico, riesce a
modificare l’imprinting originario, trasmettendo parte delle sue
caratteristiche al bambino.
La futura madre è in grado di modificare il genoma del figlio anche se l’ovulo è di un’altra donna. In ogni caso il periodo di gestazione di quell’embrione, benché la componente femminile sia stata donata, crea un legame fisico e psicoemotivo assai profondo con la madre. E non è certo da trascurare il fatto che essa lo partorirà ed allatterà: tutti aspetti essenziali per cui quel bambino sia percepito e amato come proprio a tutti gli effetti.
La futura madre è in grado di modificare il genoma del figlio anche se l’ovulo è di un’altra donna. In ogni caso il periodo di gestazione di quell’embrione, benché la componente femminile sia stata donata, crea un legame fisico e psicoemotivo assai profondo con la madre. E non è certo da trascurare il fatto che essa lo partorirà ed allatterà: tutti aspetti essenziali per cui quel bambino sia percepito e amato come proprio a tutti gli effetti.
Felipe Vilella,et al.:” Hsa-miR-30d, secreted by the human endometrium, is taken up by the
pre-implantation embryo and might modify its transcriptome”.
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