mercoledì 15 giugno 2016

Ovaio policistico: un trucco dell'evoluzione. Intervento della Dott.ssa Barbara Rizzo, biologa di Progenia



Le donne affette da Sindrome dell'Ovaio Policistico sono geneticamente "programmate" per generare figli in periodi di carestia. È l'ipotesi sostenuta da Enrico Ferrazzi, direttore della Clinica Ostetrica e Ginecologica all’Ospedale Buzzi di Milano e vicepresidente del comitato scientifico dell'Associazione per lo Studio delle Malformazioni. La sindrome colpisce dal 7 al 15% di tutte le donne in età fertile. Nonostante predisponga alla subfertilità, dunque, il tratto genetico della PCOS è presente in un'ampia percentuale della popolazione femminile. Come mai si è conservato nel corso dell'evoluzione umana e non è stato cancellato dai meccanismi della selezione naturale? L'ipotesi, sempre più condivisa dalla ricerca scientifica, è che le donne con ovaio policistico abbiano una precisa funzione nella preservazione della specie umana. "In condizioni di carestia, di forte restrizione calorica, l'ovaio normale cessa di funzionare", spiega Ferrazzi. "Lo vediamo nei casi di anoressia, o nelle donne sottoposte a intenso sforzo fisico e scarsa alimentazione, come capita a volte alle ballerine. L'ovaio policistico, invece, funziona al meglio proprio in queste condizioni. Poiché le carestie hanno da sempre accompagnato la storia del genere umano, il tratto genetico della PCOS si è preservato in un'alta percentuale della popolazione umana perché in tempi di carestia chi si riproduceva erano appunto le donne con ovaio policistico. Oggi la PCOS si manifesta soprattutto nei Paesi occidentali dove l'eccesso calorico è la regola alimentare. Particolarmente nocivi, per le donne che ne soffrono, sono lo zucchero e i carboidrati derivati da cereali raffinati. Per attenuare le manifestazioni della sindrome, ancor prima di ricorrere ai farmaci è necessario adeguare le abitudini alimentari: mangiare molta frutta e verdura (600-700 grammi al giorno), pesce, pollame, molluschi, uova, legumi, cavoli, verze e noci, ricchi di acidi grassi omega-3, ridurre a poche porzioni settimanali i carboidrati derivati dai cereali, i dolci, la carne rossa, gli affettati, i formaggi e il latte, il sale e integrare la dieta con alimenti probiotici (yogurt con fermenti vivi)".

Ho donato i miei ovociti

Alessandra ha 26 anni e ama i bambini. Studia per diventare educatrice dell'infanzia. È italiana, ma per alcuni anni ha vissuto in Spagna per lavoro. Lì, a Bilbao, ha fatto una scelta che nel nostro Paese oggi è legale ma, di fatto, non è ancora accessibile: ha donato alcuni suoi ovociti per consentire a donne sterili di coronare il proprio desiderio di maternità. In Italia la recente sentenza della Corte Costituzionale ha sancito la legalità della fecondazione eterologa, tuttavia l'assenza di linee guida nazionali specifiche ha di fatto impedito finora la donazione di gameti e l'utilizzo di gameti donati. Non è così in Spagna, dove l'ovodonazione è consentita e incoraggiata. La normativa europea prevede che non si possa fare commercio degli ovociti o degli spermatozoi. La donazione deve essere gratuita, tuttavia in alcuni Paesi è previsto un rimborso spese per le donne che si sottopongono alla procedura invasiva, sacrificando anche giorni di lavoro. "In Spagna questo rimborso è cospicuo, tanto da rasentare l'entità di un vero e proprio compenso, una pratica oggetto di critiche a livello europeo", spiega la psicologa Laura Volpini, presidente della neonata Associazione Italiana Donazione Altruistica e Gratuita dei Gameti. Avevo bisogno di soldi, ma...". "Una conoscente mi ha consigliato di donare i miei ovuli perché avevo bisogno di soldi", racconta Alessandra. "La mia prima motivazione è stata questa. Mi hanno offerto 1.200 euro in cambio di un mese di disponibilità, esami, assunzione di farmaci per stimolare le ovaie e poi l'intervento di prelievo degli ovociti. Intendiamoci, però: non mi sarei mai sottoposta per soldi a una procedura rischiosa per la mia salute o per la mia fertilità. Mi sono informata, ho parlato con i medici, ho fatto mille domande a cui gli operatori hanno risposto in modo esauriente. Sono stata rassicurata e sono stata seguita con attenzione. Avevo un numero di telefono che potevo chiamare a qualsiasi ora, di giorno o di notte, per manifestare eventuali dubbi". Stimolazione ovarica e prelievo degli ovociti, se fatti a regola d'arte, non comportano rischi significativi per la salute della donatrice. Ormai sono procedure di routine tanto che alcuni medici, soprattutto in altri Paesi, cominciano a consigliare alle donne giovani e fertili di mettere da parte alcuni ovociti per avere l'opportunità di utilizzarli per se stesse in futuro, se dovesse presentarsi la necessità( Social freezing). Prima di prendere una decisione definitiva sulla donazione, Alessandra si è documentata su Internet. "Ho letto le storie di altre ragazze che avevano intrapreso la stessa strada e, soprattutto, ho letto le storie di donne disperate per la propria sterilità che grazie all'ovodonazione avevano potuto mettere al mondo i figli tanto cercati", racconta. "Così al bisogno di soldi si è aggiunta un'altra motivazione: poter essere d'aiuto ad altre donne in difficoltà, realizzare il loro sogno. Inoltre, io in passato ho interrotto volontariamente una gravidanza. Potevo avere un figlio, ma quello per me non era il momento giusto. Donando i miei ovuli ho ristabilito una sorta di equilibrio". "L'idea che dalle cellule che ho donato possano essere nati dei bambini mi piace, mi fa sentire bene", dice la donatrice. "Soprattutto sono soddisfatta al pensiero di avere aiutato altre donne a coronare il proprio desiderio di maternità, ma se penso a quei bambini non li sento come figli miei. Un bambino è figlio di chi lo partorisce e, ancor più, di chi lo cresce. Non è una questione biologica, ma di amore. Ecco perché dico che non sono figli miei e quando un giorno avrò dei bambini non nutrirò alcun rimpianto per quelli eventualmente nati dai miei ovociti, non farò alcuna confusione di affetti".

L'anonimato

Alessandra non sa se le gravidanze avviate con i gameti che ha donato siano andate a buon fine né lo saprà mai. La legge spagnola prevede l'anonimato dei donatori di ovociti e spermatozoi. Tra loro, le coppie riceventi e, in seguito, i bambini nati non c'è comunicazione né alcun rapporto parentale o giuridico. "È una misura a tutela di tutte le parti coinvolte: della donatrice, della coppia che riceve la donazione, dei nati, ma anche di eventuali altri figli della coppia e di eventuali figli della donatrice", commenta Laura Volpini, presidente dell'Associazione Italiana Donazione Altruistica e Gratuita dei Gameti. In gran parte dei Paesi europei la normativa è orientata in tal senso. "Ma non in tutti", aggiunge l'avvocato Sebastiano Papandrea, legale dell'Associazione. "Per esempio, in Gran Bretagna una volta vigeva l'obbligo dell'anonimato assoluto. Di recente questo paletto è stato rimosso. In Italia la norma di riferimento è la legge 40 che, nonostante vietasse l'eterologa, regolamenta il caso in cui una coppia faccia ricorso a questo tipo di intervento all'estero. Prevede l'anonimato del donatore o della donatrice e stabilisce che tra il donatore e il nato non sussiste alcun legame. Inoltre, nel nostro Paese fa testo sulla questione anche la legge sulla donazione degli organi e dei tessuti, che prevede l'anonimato di chi dona. Non è detto, però, che anche in Italia non si possano in futuro rivedere le regole. Già nel caso delle adozioni è possibile, in determinate circostanze, che un giudice consenta a un figlio di acquisire informazioni sulla madre biologica o a una madre di acquisire informazioni sul figlio. È concepibile, in futuro, un ripensamento in tal senso anche per l'eterologa, con valutazioni fatte dai giudici caso per caso. Quel che è certo è che la coppia che ha fatto consapevolmente ricorso all'eterologa non può in seguito disconoscere la paternità o la maternità sulla base dell'assenza del vincolo biologico. Il nato è protetto. La famiglia entro cui nasce è legalmente la sua famiglia".

La "tracciabilità" dei gameti

Anonimato del donatore non significa assenza totale di informazioni sul suo conto. La clinica che ha effettuato il trattamento di fecondazione assistita eterologa mantiene nei propri archivi tutti i dati relativi alla storia medica e agli esami effettuati da chi ha donato ovociti o spermatozoi. Sono informazioni necessarie per la tutela della salute futura dei nati, e sono a disposizione dei diretti interessati e delle famiglie. Esiste, quindi, una sorta di tracciabilità dei gameti.
I donatori vengono esaminati per escludere le patologie genetiche più comuni, come la fibrosi cistica e l'anemia mediterranea, e le alterazioni cromosomiche ereditarie. Attenzione, però: ciò non significa che i bambini nati da fecondazione eterologa siano del tutto esenti dal rischio di malattie ereditarie". "Allo stato attuale la scienza non è in grado di escludere al 100% il rischio di ereditare una malattia o la predisposizione a una malattia. Il rischio esiste sempre quando si fa un figlio spontaneamente, con fecondazione assistita omologa o eterologa. Non ha alcun senso, dunque, aspettarsi la perfezione, come se la clinica potesse fornire una garanzia di salute".
Similmente, la coppia che fa ricorso all'eterologa non può chiedere alla clinica ovociti o spermatozoi portatori di specifiche caratteristiche, allo scopo di avere un figlio bellissimo o super intelligente. "Non funziona così. Questa è fantascienza". "Gli operatori scelgono il donatore o la donatrice in modo tale che il figlio abbia a grandi linee caratteristiche fisiche analoghe a quelle dei genitori, come il colore della pelle e dei capelli, ma non si può cercare il donatore che abbia il profilo del naso come quello del futuro padre. I tratti di una persona dipendono da una moltitudine di fattori, genetici e ambientali, e siamo i grado di orientarli solo in minima parte. E il figlio nato da una coppia o anche solamente allevato da una coppia, come accade nelle adozioni, tende a somigliare ai genitori anche se non ne condivide del tutto o per nulla il DNA".
Nella prima parte di questa storia Alessandra, italiana residente in Spagna, ha spiegato le motivazioni che l'hanno spinta a donare i suoi ovociti a una clinica della fertilità per la fecondazione eterologa di aspiranti mamme affette da sterilità. "Dal momento in cui ho fatto la mia scelta e mi sono rivolta alla clinica, sono stata sottoposta a una serie di controlli, per escludere qualunque ostacolo alla donazione", racconta.

Gli esami

"Ho parlato con un dottore che ha ricostruito la mia storia medica e quella della mia famiglia", spiega. "Si è informato su eventuali precedenti di malattie ereditarie. Ha avuto qualche perplessità quando ha saputo che la mia famiglia è di origine sarda e dunque ho un maggior rischio di essere portatrice di anemia mediterranea, ma i successivi esami hanno escluso questa eventualità".
Le aspiranti donatrici di ovociti vengono sottoposte ad analisi del sangue per le più comuni malattie genetiche. Di solito si esegue il test per la fibrosi cistica e in alcuni casi, se provengono da aree a rischio, quello per l'anemia mediterranea. È previsto anche un esame del cariotipo per escludere alterazioni cromosomiche che potrebbero aumentare il rischio di aborto spontaneo. Altri esami del sangue prescritti di routine sono quelli per le malattie infettive: HIV, epatite B e C e sifilide. Infine è previsto un tampone cervicale per escludere la clamidia". Terminata la trafila dei test, Alessandra è stata sottoposta a visita ginecologica ed ecografia pelvica. Infine, a un colloquio con una psicologa. "Tra le altre cose, mi ha chiesto che cosa provavo all'idea che dai miei ovociti donati potessero nascere dei bambini che sarebbero stati a tutti gli effetti figli di altre donne", racconta la ragazza. "Il colloquio ha la funzione di tutelare il benessere psicologico della donatrice", spiega la psicologa Laura Volpini, presidente della neonata Associazione Italiana Donazione Altruistica e Gratuita dei Gameti. "Serve ad accertare che la donazione sia un gesto pienamente consapevole e volontario, che la donna sia serena nella sua scelta. Di solito, se la decisione è stata ben ponderata, la donatrice prova soddisfazione per il gesto altruistico. Possono subentrare dei rimorsi in alcuni casi particolari. Per esempio, se la donatrice si sottopone a sua volta a PMA e il trattamento non ha successo, potrebbe provare del risentimento pensando che gli ovociti donati ad altre donne sono invece andati a buon fine".

La procedura

"Tre o quattro giorni dopo l'ultima visita, i medici della clinica hanno chiamato per comunicarmi che andava tutto bene e potevamo procedere", racconta Alessandra. "Ho firmato un consenso informato molto dettagliato e ho dato la mia disponibilità ad assumere i farmaci prescritti ogni giorno agli orari previsti e a sottopormi a visite ed ecografie a giorni alterni per un mese, fino al prelievo degli ovociti". Inizialmente ad Alessandra è stato prescritto un contraccettivo per alcuni giorni. Non sempre è previsto,  è necessario nei casi in cui bisogna sincronizzare il ciclo della donatrice con quello della ricevente, in modo tale che gli ovociti siano maturi e pronti al prelievo nel momento giusto per fecondarli e procedere con l'impianto dell'embrione. In seguito le sono state prescritte delle gonadotropine per stimolare la maturazione contemporanea di più follicoli. "Erano delle iniezioni sottocutanee che dovevo farmi da sola sulla pancia", racconta Alessandra. "Due al giorno: una pizzicava un po'. Gli orari delle iniezioni andavano rispettati rigorosamente e se ritardavo per qualche ragione dovevo chiamare un numero di telefono della clinica e chiedere istruzioni". Nel corso del trattamento non ha provato alcun fastidio, ma ha notato alcuni cambiamenti fisici. "Mi è cresciuto il seno e avevo l'addome un po' gonfio", spiega, "ma alla fine di tutto sono tornata alle condizioni di partenza". Al termine del mese, la donatrice è andata alla clinica per il prelievo degli ovociti maturi. "Mi hanno sedata e mi sono addormentata. Non ho sentito niente", racconta. "Sono tornata a casa la sera stessa, ma nei giorni successivi sono andata ancora alla clinica per una visita di controllo con ecografia. Avevo un piccolo versamento di sangue nell'ovaio e nei due giorni successivi al prelievo ho avuto dolori addominali piuttosto forti. La dottoressa mi ha rassicurato: il versamento si sarebbe riassorbito da solo. In effetti in seguito sono stata bene e non più avuto problemi". Il prelievo degli ovociti è un intervento mini invasivo. Si effettua con un sottile ago che raggiunge l'ovaio per via vaginale. Normalmente non ha alcuna conseguenza negativa per la salute della donatrice. Alcune donne possono provare dolore all'addome nelle ore successive, più o meno accentuato, ma è un disturbo superabile con un analgesico e si risolve poi spontaneamente. Sono previsti dei controlli per verificare che le ovaie siano tornate alla loro attività fisiologica.

Le motivazioni di chi dona

"Nella maggior parte dei casi in Europa le donatrici sono donne che si sono sottoposte a procreazione medicalmente assistita e hanno prodotto ovociti maturi in sovrannumero. Completata la procedura, hanno deciso di non crioconservare i gameti avanzati, almeno non tutti, ma di donarne una parte", dice Volpini. "Fanno questa scelta perché hanno sperimentato in prima persona l'infertilità e il ricorso alla PMA e solidarizzano con le altre donne nella stessa situazione che hanno necessità di ovociti donati. Un'altra motivazione abbastanza comune è la donazione per un'amica. Poiché nella maggior parte dei Paesi europei vige l'obbligo di anonimato del donatore, se una donna vuole aiutare un'amica in difficoltà può fare ricorso alla donazione crociata. Va al centro per la fertilità e offre i propri ovociti. In cambio la struttura utilizza altri ovociti, di donatrice anonima, per l'intervento sull'amica". Uno degli scopi dell'Associazione Italiana Donazione Altruistica e Gratuita dei Gameti è diffondere nel nostro Paese la cultura dell'ovodonazione come gesto motivato da solidarietà umana. "Chi dona il sangue o il midollo viene considerato generoso e altruista", osserva la psicologa. "Manca ancora, in Italia, la stessa considerazione per chi dona i gameti. È su questo aspetto, tra gli altri, che ci proponiamo di lavorare".

 OVODONAZIONE: Confermato il legame epigenetico tra mamma e nascituro.

La relazione feto-madre è in grado di incidere sul patrimonio genetico del nascituro, anche quando non sussistono legami biologici fra la futura madre e l’ovulo fecondato. Tale scoperta è stata confermata da un recente studio condotto dalla Fondazione IVI (FIVI), e  pubblicato su Development il quale ha dimostrato, per la prima volta nella storia della genetica come la comunicazione tra mamma ed embrione  può modificare l’informazione genetica del neonato anche in caso di ovodonazione. Alcune particolari condizioni in cui si possono trovare le donne sono in grado di modificare le loro cellule, anche quelle dell’endometrio. Ciò determina un cambiamento del fluido endometriale tale che nella sua secrezione venga rilasciata l’informazione genetica della madre assorbita poi dall’embrione. Questa comunicazione può far si che nell’embrione si esprimano o si inibiscano specifiche funzioni, dando così luogo alle suddette modifiche. Questa scoperta conferma l’esistenza, da tempo ipotizzata, di uno scambio d’informazioni tra endometrio ed embrione. Questa “comunicazione” fa si che nell’embrione si esprimano o si inibiscano specifiche funzioni, in risposta alle informazioni rilasciate dalle cellule endometriali. Ciò spiegherebbe il processo di trasmissione, tra la mamma e il bimbo, di alcune caratteristiche fisiche così come di alcune malattie infantili quali il diabete e l’obesità”. In presenza di determinate condizioni patologiche, infatti, come in caso di obesità, diabete, ma anche di tabagismo, le cellule endometriali modificano la loro espressione genica, cioè modificano l’attività dei loro geni, influenzando, in questo modo, anche lo sviluppo embrionale.
Questa scoperta ci permetterà in futuro di evitare la trasmissione di alcune malattie quando la loro causa è epigenetica, ovvero quelle malattie che si verificano in seguito a cambiamenti nell’espressione, e quindi nell’attività, di uno o più geni senza che ne venga modificata la struttura.
Un ulteriore studio pubblicato da “Nature genetics” sta accendendo l’entusiasmo di tutte le aspiranti mamme che avevano pensato di ricorrere all’ovodonazione e sta confermando quello che molte madri, che già sono ricorse a questa soluzione, sentivano a livello più inconscio. Lo studio dimostrerebbe, infatti, che la paziente che riceve l’ovulo, per un fenomeno epigenetico, riesce a modificare l’imprinting originario, trasmettendo parte delle sue caratteristiche al bambino.
La futura madre è in grado di modificare il genoma del figlio anche se l’ovulo è di un’altra donna. In ogni caso il periodo di gestazione di quell’embrione, benché la componente femminile sia stata donata, crea un legame fisico e psicoemotivo assai profondo con la madre. E non è certo da trascurare il fatto che essa lo partorirà ed allatterà: tutti aspetti essenziali per cui quel bambino sia percepito e amato come proprio a tutti gli effetti.

Felipe Vilella,et al.:” Hsa-miR-30d, secreted by the human endometrium, is taken up by the pre-implantation embryo and might modify its transcriptome”.    

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